Si è appena chiusa una settimana di malcelato nervosismo sull’asse Bruxelles-Washington. Motivo delle tensioni l’inasprimento del regime di sanzioni alla Russia votato dal Congresso americano che potrebbe avere effetti collaterali sugli investimenti strategici di alcune aziende europee dell’energia. Questa prospettiva mette a rischio, secondo l’Esecutivo comunitario, la sicurezza energetica del Vecchio Continente.

Curiosamente il nuovo “sanction bill” punta il dito soprattutto contro il Nord Stream 2 perché minaccerebbe l’indipendenza energetica di alcuni Stati membri dell’Unione europea. Sono cinque i big europei dell’energia che partecipano al progetto di raddoppio del corridoio nord, le tedesche Uniper e Wintershall, l’austriaca Omv, la francese Engie e l’anglo olandese Shell. Ad aprile le cinque major hanno stanziato insieme la somma di 4,75 miliardi di euro a copertura di metà dei costi complessivi di realizzazione del gasdotto.

La Commissione non ci sta e si dice pronta «ad agire di conseguenza in pochi giorni», qualora le preoccupazioni europee non fossero tenute in considerazione negli Stati Uniti. «America first non può voler dire che gli interessi dell’Europa vengono per ultimi», è stata la dura dichiarazione del presidente Jean-Claude Juncker dopo il collegio dei commissari di mercoledì, mentre un suo portavoce ha confermato che Bruxelles resta vigile sulla situazione.